Si moltiplicano le segnalazioni di casi di alunne e alunni con disabilità vessati dal corpo docente. Il problema è strutturale?
L’ultima in ordine cronologico delle tante storie legate alla vessazione dei più piccoli dentro le mura scolastiche, viene da Torino. La narrazione vede nuovamente i maestri come oppressori. Un bambino di nove anni con gravi patologie cognitive (deficit dell’attenzione e iperattività combinata con un disturbo oppositivo provocatorio), come oppresso.
L’ultimo caso
“La gastrite quest’anno ha un nome e un cognome”, hanno scritto i maestri nella chat di classe. Un bambino considerato troppo vivace e difficile da gestire e per questo cercato di far passare come violento agli occhi dei genitori. Quasi ogni giorno una nuova nota di demerito sul diario. Gli insegnanti si accordavano per fornire una versione comune, condita di dettagli difficili da decifrare, per giustificare punizioni come quella di farlo mangiare solo o metterlo all’ultimo banco, lontano dai compagni.
Il bambino inoltre veniva fatto uscire prima da scuola, poiché sembrerebbe ci fossero momenti della giornata in cui non c’erano attività adatte a lui o momenti in cui non poteva essere seguito da un assistente. Quindi partivano le telefonate alla mamma, alla nonna, per farlo venire a prendere. Lo escludevano, invece d’includerlo il più possibile. “Averlo in classe significava sicuramente impegnarsi in modo maggiore, ma probabilmente non ne avevano voglia”, dice la mamma.
Grazie alla segnalazione di una maestra che ha inoltrato le chat alla madre del piccolo, la vicenda è uscita fuori. La madre si è rivolta all’associazione “La Battaglia di Andrea”, nata nel 2020 proprio per far fronte a situazioni simili.
I precedenti
Fosse questo un caso isolato, in cui l’errore è stato compiuto dagli insegnanti di una scuola qualsiasi a Torino, verrebbe condannato il gesto, allontanate le maestre e non se ne parlerebbe più. Ma questa è la storia di maggio. Ad inizio aprile un altro bambino veniva preso in giro in chat dalle maestre di una scuola di Pavia. “Bambino di merda”, “sporco”, solo alcuni dei termini utilizzati per descrivere un bimbo che poco piaceva alle sue maestre. E perché, quando a fine aprile abbiamo saputo del bambino con autismo definito “ansia”, sempre dai suoi insegnanti e scoperti sempre nella chat di classe? E ci sarebbero tante altre storie da segnalare se andassimo a ritroso nel tempo.
Un fenomeno da non sottovalutare
Il fatto che tanti casi di bullismo stiano emergendo significa che probabilmente il problema è molto più grave di quel che sembra e che soprattutto è strutturale. Accorgersene oggi è molto più semplice, parole pesanti utilizzate in modo leggero su applicazioni di messaggistica non possono essere cancellate con facilità. Ma perché avviene tutto ciò? Cosa spinge gli insegnati a prendersela con dei bambini incapaci di difendersi? Frustrazione? Mancato riconoscimento del ruolo? Strumenti non forniti dal proprio corso di formazione?
Sicuramente, essendo questo il lavoro che dovrebbe formare le menti del domani e rendere i nostri bambini più sicuri e fiduciosi di loro stessi, si dovrebbe intervenire ampiamente ed anche tempestivamente. Perizie psichiatriche, capacità fornite per affrontare certe situazioni, stipendi maggiori e supporto psicologico perché sì, prendersi cura dei bambini può essere complicato. Ma la frustrazione andrebbe sfogata dai terapeuti e non sui bambini.
Ci si auspica che gli educatori ricordino il vero motivo per cui hanno deciso d’intraprendere una professione così importante e delicata all’interno della nostra società.
(Angelica Irene Giordano)