Intervistiamo Claudia Corsolini, presidentessa di OVCI-La Nostra Famiglia Ets, per chiederle della storia, dei progetti e del futuro della sua associazione, membro della Rete italiana disabilità e sviluppo
Qual è la la storia di OVCI- La Nostra Famiglia ETS?
“OVCI (Organismo di Volontariato per la Cooperazione Internazionale) nasce nel 1982 per iniziativa dell’Associazione La Nostra Famiglia e del Gruppo Amici di don Luigi Monza, tutte realtà attive in diverse regioni italiane nel campo della riabilitazione nell’età evolutiva”.
Qual è la vostra mission?
“La missione di OVCI, nel contesto della cooperazione internazionale, è di tutelare la dignità e migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità, specie in età evolutiva, nonché di promuovere e difendere i diritti umani, in particolare delle donne.
In particolare l’associazione si propone di realizzare iniziative che, secondo lo spirito evangelico, promuovano lo sviluppo integrale, umano, sociale, educativo e sanitario delle popolazioni del mondo; promuovere progetti con particolare orientamento a favore di persone con disabilità e delle donne; sensibilizzare l’opinione pubblica, gruppi giovanili, organismi di base e scuole a una presa di coscienza e assunzione di responsabilità verso i problemi dell’umanità e del creato.
Per realizzare la propria missione, OVCI si ispira all’esperienza tecnica e all’eredità culturale dell’Associazione La Nostra Famiglia. I suoi impegni sono volti a favorire il riconoscimento dei diritti e l’inclusione delle persone vulnerabili all’interno della società attraverso il rafforzamento delle persone stesse, delle comunità e delle Istituzioni locali, lo sviluppo di servizi socio sanitari ed educativi, la formazione tecnica degli operatori locali e la sensibilizzazione a una cultura della solidarietà”.
Come mai avete deciso di realizzare progetti di cooperazione internazionale volti all’implementazione dei diritti dei bambini con disabilità e al miglioramento della loro qualità della vita?
“Scelta obbligata: i nostri ‘genitori’ e in particolare l’Associazione la Nostra Famiglia hanno questo focus specifico, fin dagli anni Cinquanta. È dalla conoscenza della realtà di questa Associazione che è nata la richiesta, da parte di diversi missionari italiani, di far uscire i bambini con disabilità delle loro comunità da una situazione spesso di abbandono, o al massimo di mera custodia in orfanotrofi senza alcuna prospettiva di inclusione sociale”.
In quali territori operate? Quali difficoltà incontrate nella realizzazione dei vostri progetti?
“In oltre quarant’anni di attività abbiamo lavorato in Sudan, Sud Sudan, Ecuador, Cina, Marocco, Brasile e Palestina, con alcune esperienze di volontariato giovanile estivo in Romania e Zambia. La scelta dei paesi non è nata a tavolino ma dalle richieste ricevute, con il risultato che sono tutti paesi con lingue diverse e riferimenti culturali, religiosi e identitari veramente diversi!
Negli ultimi due anni abbiamo ricevuto proposte di attivarci anche in altri paesi in Africa e America Latina, ma per ora non siamo riusciti a farcene carico.
La grande difficoltà con cui ci confrontiamo è la sostenibilità economica, perché è proibitivo dare continuità alle attività rivolte a un gruppo umano così scarsamente rappresentato e così poco visibile come i bambini con disabilità; onestamente, il tema dell’infanzia è spesso sottovalutato dalla stessa comunità delle persone con disabilità – che spesso nei paesi dove lavoriamo è guidata da persone con disabilità acquisita in età adulta, soprattutto reduci di guerra.
Un’altra difficoltà ha a che fare con la sostenibilità ‘tecnica’: quando possiamo, lavoriamo per la formazione di operatori specializzati, che spesso una volta acquisito un titolo prestigioso trovano opportunità di lavoro in posti meno disagiati e più remunerativi; quando si opta per la formazione sul campo di persone della comunità, diventa difficile ottenere dalle autorità locali l’assunzione di operatori senza titolo, quindi si deve spesso ricominciare da capo.
Ovviamente poi a monte di tutto c’è la difficoltà di trovare un modo per ribaltare una cultura di esclusione: sinceramente, è la sfida di tutti i giorni anche nei paesi ricchi!”.
Che significato ha per voi la parola “cooperazione”?
“Senza retorica, per noi è soprattutto stare al fianco di amici.
Tendenzialmente abbiamo il ‘vizio’ di non abbandonare mai un paese in cui siamo stati chiamati, per cui continuiamo a operare in tutti questi paesi, anche quando le difficoltà aumentano. Riguardando la nostra storia, abbiamo chiuso la cooperazione solo con il partner che abbiamo avuto in Palestina: avevamo collaborato a un progetto formativo rivolto a operatori di un centro di riabilitazione vicino a Gerusalemme, che finito il progetto non ha rinnovato la richiesta. È rimasta l’amicizia.
Altra esperienza che si è chiusa è quella della Romania: dopo la prima missione di valutazione, purtroppo riscontrammo che chi ci aveva chiamato non aveva nessuna prospettiva reale di inclusione dei bambini disabili, ma solo l’aspettativa di incamerare qualche forma di ‘aiuto’… Niente da fare!”.
Quali buone prassi o procedure, attuate nei territori dove realizzate i progetti, credete che dovremmo imparare e portare da noi?
“La logica dell’inclusione basata nella comunità è molto interessante e sfidante. Spesso ci rendiamo conto, soprattutto dopo il Covid, che si parla anche nei paesi occidentali di puntare su questa dimensione territoriale, ma poi si trovano ostacoli insormontabili a partire dalla autodifesa di ciascuna famiglia professionale o dalla rigidità dei budget delle diverse pubbliche amministrazioni”.
Raccontateci nel dettaglio le vostre azioni progettuali.
“I nostri progetti sono fondamentalmente orientati su alcune direttrici: inclusione di bambini disabili attraverso l’attivazione di servizi di riabilitazione e ausili, educazione inclusiva, inclusione nella comunità, supporto alle famiglie in primis alle mamme; formazione anche universitaria di personale dedicato all’inclusione delle persone con disabilità; formazione professionale di giovani con disabilità.
Naturalmente la declinazione è diversa in ogni paese a seconda delle esigenze specifiche manifestate dai partner locali e dalla situazione di partenza: a volte ci siamo trovati a erogare servizi di salute di base, a distribuire aiuti alimentari o kit di depurazione dell’acqua, a gestire gruppi di sfollati… o ad attivare un corso di taglio di capelli o di pittura di unghie, come richiesto da un gruppo di mamme”.
Una storia o un episodio che vi ha colpito?
“Personalmente ho un ricordo molto emozionante dall’Ecuador. I nostri operatori comunitari ci chiesero di andare a visitare al domicilio la mamma di una bimba con disabilità, insistendo molto – nonostante avessero loro stessi suggerito che la prima visita dovesse essere nella sede dell’organismo perché avrebbe consentito ai genitori di capire quante cose erano possibili per il loro bambino e li avrebbe messi in contatto con altri genitori.
Quello con questa mamma in effetti fu un incontro speciale. Lei era in carrozzina, viveva in una palafitta con i suoi quattro figli, e quando arrivò la quinta (Jadys) capì subito che aveva una serie di difficoltà per cui andava seguita in modo speciale; conosceva di fama la nostra attività e voleva dirci che era pronta a dare una mano, ma voleva anche che vedessimo come viveva. ‘Penso che le altre mamme possano avere un sacco di paure rispetto al domani dei loro figli con disabilità e – ci disse – con tutta la bravura di un operatore, che non può parlare per esperienza diretta – a queste paure l’unica risposta è vedere con i loro occhi. Io alle loro paure posso rispondere: ehi, io sono qui, ho una casa e me ne prendo cura, ho una vita indipendente, ho la mia famiglia, ho le mie difficoltà, ma chi non le ha per tirare avanti nella nostra bella Esmeraldas!’.
La mamma di Jadys è stata poi una formidabile formatrice sia per le altre mamme che nelle formazioni che abbiamo proposto per anni ai ragazzi delle scuole di Esmeraldas”.
Da pochi giorni si è tenuta la giornata della Vita indipendente. Quanto è importante la tutela di questo diritto nella vostra progettualità?
“Nei paesi dove lavoriamo (due sono in situazione di guerra civile, uno con livelli di violenza urbana altissimi) spesso il tema principale per un bambino con disabilità è il diritto alla vita, prima che il diritto alla vita indipendente.
Cerchiamo di tenere il tema della Vita indipendente nel nostro orizzonte di senso, perché questi bambini diventeranno adulti che hanno diritto a scegliere sul loro destino, ma molto onestamente, non è la cosa in cui siamo più forti.
Spesso la difesa del principio della Vita indipendente è affidata alla testimonianza attiva di alcuni collaboratori locali, che reclutiamo nella comunità di persone con disabilità e che sono un esempio vivente, come la mamma di Jadys di cui ho parlato prima”.
Come si collabora con voi?
“Ci sono diversi livelli: diventando soci; diventando donatori; partecipando alle attività che vengono proposte in Italia (racconto dei progetti, sensibilizzazione sui diritti delle persone con disabilità o sulla situazione dei paesi che conosciamo, raccolta fondi…); candidandosi per esperienze all’estero che possono andare dal volontariato estivo (per ora riservato a gruppi di giovani) a periodi di stage o finalizzati alla elaborazione di una tesi universitaria, al Servizio civile universale, fino a esperienze professionali come esperti di cooperazione internazionale.
Se vi abbiamo incuriositi, provate a contattarci nella sede di Pontelambro”.
Progetti futuri?
“In questo inizio del 2025 siamo impegnati nella traduzione pratica delle linee strategiche che abbiamo elaborato nel corso del 2024.
Sinteticamente, vorremmo continuare a essere una presenza significativa nei nostri paesi storici, senza escludere la possibilità di accogliere nuove proposte di impegno, se compatibili con le nostre forze”.
Qual è il futuro della cooperazione internazionale in questo clima geopolitico?
“Ci troviamo in un momento che è difficilmente decifrabile anche per analisti di più alto livello. Per una piccola ONG come OVCI, l’analisi del presente è mirata a capire se saremo ancora capaci di trovare risorse per poter continuare a stare al fianco dei nostri amici storici, che hanno la sventura di vivere in paesi poco interessanti per le logiche dei paesi ricchi”.
Per avere maggiori informazioni visitate questo il sito di OVCI e ascoltate l’intervista alla presidente Corsolini nella sezione Podcast del nostro sito.
(Elisa Marino)